Ritrovare voce e passione per le cose per cui vale la pena impegnarsi
Cari amici lettori, in diverse circostanze della vita ci siamo sicuramente chiesti come essere “forti”, preoccupati però di venir meno alla mitezza e alla “gentilezza” che riteniamo valori cristiani. Si possono conciliare forza e mitezza? Si può essere forti, senza rinunciare alla gentilezza e senza diventare
sopraffattori? Sono domande che possono trovare risposta nelle parole di papa Francesco nell'udienza di
mercoledì 10 aprile, in cui ha parlato della virtù della fortezza, all'interno della serie dedicata alle virtù cardinali. Riflettendo sulla «più “combattiva” delle virtù», ha sottolineato il legame tra la fortezza e l'«appetito irascibile» (l'“istinto” che è all'origine dell'ira)ma ha anche sottolineato che «non è detto che
le passioni siano necessariamente il residuo di un peccato». Come è difficile immaginare un uomo
senza passioni («sarebbe un sasso»), così anche «Gesù ha passioni». È un aspetto, questo, su cui riflettiamo poco: ci rappresentiamo spesso Gesù solo come “buono” e compassionevole, dimenticando che è venuto anche a portare il fuoco sulla terra e che ha usato metodi “forti” quando ha scacciato i mercanti dal tempio.
Giustamente le passioni vanno «educate, indirizzate», ma soprattutto Francesco ha concluso che «un cristiano senza coraggio, che non piega al bene la propria forza, che non dà fastidio a nessuno, è un cristiano inutile». È una riflessione che provoca: spesso abbiamo una concezione un po' linfatica, pallida della fede, considera il cristiano come una persona debole, remissiva, che accetta ogni cosa: complice anche un'interpretazione distorta del “porgere l'altra guancia”, spesso mal intesa come un invito alla passività, alla rassegnazione, a “incassare” qualsiasi colpo (vedi rubrica pag. 52, sulla pubblicità delle patatine al posto delle ostie). Ma se questo fosse vero, non avremmo i santi, non avremmo profeti, non avremmo cristiani che hanno inciso e incidono nella storia, quella grande come quella quotidiana. Così ad esempio don Giuseppe Dossetti (vedi Zoom, pag. 34), in forza delle convinzioni maturate nella sua esperienza cristiana, si oppone all'utilizzo della fede in chiave anticomunista voluta da Pio XII alle elezioni del 18 aprile 1948. Certamente un cristiano coraggioso , per quei tempi. Eppure, rilevava il Santo Padre nella stessa udienza, «nel nostro confortevole Occidente, che ha un po' annacquato tutto… che non ha bisogno di lotte perché tutto gli appare uguale, avvertiamo talvolta una sana nostalgia dei profeti». La fortezza,
diceva, «è una virtù fondamentale perché prende sul serio la sfida del male nel mondo» e ci fa «reagire e gridare un “no”, un “no” secco a tutto questo» (guerre, violenze, schiavitù, oppressione dei poveri, ferite mai sanate che ancora sanguinano, ndr). Esiste però anche il pericolo opposto: trasformare la fortezza in atteggiamenti “muscolari”, toni gridati e persino offensivi, in arroccamento su di sé o condanna degli altri. Lo vediamo, purtroppo, anche in una certa fetta di siti e social “cristiani”, che però con questo stile manifestano non fortezza ma semplicemente violenza. Insomma: abbiamo bisogno di ritrovare voce, passione per le cose che valgono e per cui impegnarci. E anche discernimento per quando è necessaria la virtù della “fortezza”.