L'assurda impotenza dell'Unifil nel bunker
Non ce ne voglia il generale Antonio Messina comandante di quella Brigata Sassari fulcro della missione Unifil nel sud del Libano in cui sono inquadrati oltre mille soldati italiani. E ci scusino tutti i nostri militari del cui coraggio e delle cui capacità, dopo 40 anni di missione all'estero, nessuno può dubitare. Il problema, vecchio di 18 anni, è aver mandato i nostri uomini a prosciugare un pantano governato da un'improbabile risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Con il risultato, oggi, di ritrovarceli a mani legate in mezzo a una guerra. Il peccato originale sta tutto nell'assurda risoluzione 1701 con cui nell'agosto 2006 l'Onu pretese di mettere fine a 34 sanguinosi giorni di guerra tra Hezbollah e Israele. Quel documento affidava ad un esercito libanese meno motivato, peggio armato e assai meno addestrato da Hezbollah la responsabilità di bloccare i carichi di armi diretti verso le postazioni e gli arsenali dei miliziani sciiti a sud del Litani. Insomma i soldati libanesi, tra cui molti di fede sciita come i loro confratelli di Hezbollah, avrebbero dovuto rischiare la pelle per evitare che questi ultimi si riarmassero. In questo teatrino dell'assurdo i nostri soldati e gli altri caschi blu avrebbero dovuto controllare il lavoro dei soldati libanesi e verificare l'eventuale destinazione dei carichi sfuggiti al loro controllo. Una funzione a metà tra quella delle belle statuine e dei bersagli mobili. Una situazione tragicamente sperimentata da quel nostro militare che nel 2011 perse la vista in un attentato. Ma oggi con il ritorno della guerra e la trasformazione in carta straccia della risoluzione 1701 il teatrino appare non solo assurdo ma anche assai insidioso.
I nostri soldati immobilizzati nei bunker assistono assolutamente impotenti alla distruzione, da parte dell'esercito israeliano, di quelle armi che hanno visto arrivare, ma non hanno potuto fermare. Ma il prezzo del biglietto pagato per assistere allo spettacolo rischia di essere la loro vita.