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Lady Oscar e André, quanto c’è di Storia vera nella serie animata


Mentre è in arrivo il nuovo film animato, a oltre cinquant’anni dalla creazione (1972), il personaggio di Lady Oscar, al secolo animato e fumettistico Oscar François de Jarjayes, è un’icona talmente potente che ogni 14 luglio il web ne celebra la morte come si fa con gli eroi civili della Storia reale. Un paradosso ovviamente, che però si presta al pretesto di un giochino quasi serio, quello di capire con quanta attendibilità questo romanzo storico a fumetti (in giapponese manga) e d’animazione (in giapponese anime) abbia ricostruito il proprio contesto storico con la “S” maiuscola. Insomma che c’è di vero, nel cartone animato tratto dal manga che ha appassionato nel mondo generazioni alla Rivoluzione francese (anche se racconta più che altro il tramonto dell’Ancien Régime), tanto da fruttare alla sua ideatrice l’autrice giapponese di Manga Ryoko Ikeda la maggiore onorificenza civile della République: la Legion d’honneur. Per chiarezza terremo come riferimento, non il fumetto, ma la versione animata (tradotta in italiano), uscita in Giappone il 10 ottobre 1979 e arrivata in Italia nel 1982, perché molto più presente all’immaginario collettivo italiano, nota da noi con il titolo di Lady Oscar e non con l’originale Le rose di Versailles. Benché il soggetto sia quello, manga e anime si sovrappongono nella storia principale, ma non esattamente in tutti i dettagli. 


STORIA, FINZIONE, CURA NEI DETTAGLI


Quel che nel complesso si può dire è che la sostanza storica è rispettata, lo sfondo reale su cui si innestano efficacemente i personaggi inventati è parecchio accurato anche nei dettagli, per servire a un’opera così popolare e di fatto esotica, essendo il soggetto ideato e realizzato integralmente in Giappone negli anni Settanta. Rispetto alla principale fonte dichiarata, la biografia Maria Antonietta, una vita involontariamente eroica, pubblicata dallo scrittore austriaco Stefan Zweig nel 1932, la fedeltà è notevole ed è evidente però che non è stata l’unica fonte, perché tanti elementi storici, citati nel cartone, lì non sono presenti. Non mancano, ovviamente, licenze narrative e semplificazioni, ma c’è cura dei particolari, anche quando sono forzati per essere resi funzionali alla narrazione. La Storia per esempio riferisce che Madame Rose Bertin, modista della regina soprannominata polemicamente ministro della moda, abbia davvero reso all’ultimo grido alla Corte di Francia il color “pulce”, ma leggenda e fonti storiche vogliono che a battezzare bizzarramente per caso così la tonalità sia stato Luigi XVI in persona, il che fa specie ma fino a un certo punto in una Corte che notoriamente non brillava per l’igiene. Anche questa curiosità è presente nella serie animata, ma il conio si attribuisce ad André (coprotagonista della vicenda e personaggio del tutto inventato). 

QUEI SUONI STRANI NEI NOMI FRANCESI

  

Una cosa che al primo impatto appare strana è il suono impreciso di certi nomi, un dato macroscopico che contrasta con la precisione di tanti dettagli anche minuti: si nota in particolare riguardo al casato dei Valois – ramo cadetto della dinastia dei Capetingi -, la cui pronuncia originale e che suona grossomodo “valuà” diventa un apparentemente inspiegabile “Baló” nella traduzione italiana. In realtà si spiega, come del resto altri errori analoghi, con la translitterazione, prima dalla Storia francese al fumetto/anime giapponese, e poi di lì nuovamente al francese nella traduzione e poi nel doppiaggio alle lingue europee. Nella doppia translitterazione dall’alfabeto latino agli ideogrammi e viceversa son stati alterati i suoni originari.

Curioso, invece, il fatto che dovendo scegliere il nome (maschile) di quella che si è di fatto imposta come protagonista, per la personalità, benché nelle intenzioni dell’autrice ci fosse l’idea di dedicare un fumetto a Maria Antonietta, si sia scelto Oscar, un nome sì occidentale, ma di origine germanica, mai molto diffuso in Francia e all’orecchio non certo francese, privilegiando sul suono il significato: “Guerriero di Dio”, con l’intento forse di sottolineare la predestinazione alla vita militare.

A suggerire l’esotico nome a Ikeda, fu Desirée, film hollywoodiano del 1954, con Marlon Brando, ispirato a Desirée Clary, che ebbe una relazione con Napoleone Bonaparte e poi sposò il generale francese Jean-Baptiste Jules Bernadotte, successivamente eletto principe ereditario di Svezia, dal quale ebbe un figlio di nome Oskar, nato a Parigi nel 1799, divenuto re di Svezia Oskar I nel 1844.

È l’autrice stessa ad ammettere in un’intervista licenze “poetiche” in parte di necessità in parte per scelta. È certo stata una necessità per una disegnatrice con poca disponibilità di tempo e di risorse, mai stata a Parigi, affidarsi alle foto della città disponibili negli anni Settanta in Giappone: il risultato ha fatto sì che le scene siano state ambientate in una capitale francese più recente rispetto a quella dell’epoca (1755-1793) in cui vivevano i personaggi narrati, già figlia della trasformazione napoleonica o più moderna ancora. Scelta precisa, artistica, è stata invece quella di far indossare ai protagonisti uniformi militari d’epoca napoleonica perché più scenografiche rispetto a quelle d’epoca precedente.


NASCERE DONNE ALLA CORTE DI LUIGI XV


Realistico è invece, a dispetto dell’apparente esagerazione fumettistica, il contesto in cui Oscar François de Jarjayes, la protagonista di questa storia rivoluzionaria in molti sensi, viene messa al mondo: «Quando nel XVIII secolo nasce una bambina, – si legge nel saggio La donna ne XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt (1882) – non viene accolta alla vita dalla gioia di tutta la famiglia. La casa non è in festa per il suo arrivo, la sua nascita non dà al cuore dei genitori l’ebbrezza di un trionfo: è una benedizione che essi accettano come una delusione. Non è un maschio desiderato dall’orgoglio chiamato in questa società governata dalle leggi saliche dalle speranze di un padre e di una madre. Non è affatto l’erede predestinato a continuare il nome, le cariche, il patrimonio e la fortuna di una casata; no, la creatura non è nient’altro che una bambina e davanti alla sua culla, dove c’è solo l’avvenire di una donna il padre resta freddo e la madre soffre come una regina che aspettava di mettere al mondo un Delfino». Che Riyoko Ikeda conoscesse o meno il testo dei fratelli Goncourt, si fa notare la perfetta coincidenza con la situazione delle scene iniziali dell’anime in cui si vede un generale che, insoddisfatto della sesta figlia, decide di crescerla come fosse maschio in modo da farne l’erede le patrimonio e delle cariche. Il casato non è scelto a caso, nella storia con la maiuscola è esistito un generale Jarjayes (di nome François Augustin), lealista, fedele alla corona fino all’ultimo tanto da organizzare nel 1793 un primo tentativo di fuga della famiglia reale imprigionata alla Torre del tempio durante la Rivoluzione. Questa figura è stata appena uno spunto: il Generale Jarjayes personaggio storico ha infatti una data di nascita, 1745, incompatibile con l’intreccio romanzesco, dove l’ultimogenita è coetanea della Regina Maria Antonietta, nata nel 1755. Del tutto inventati sono i protagonisti della vicenda principale Oscar e André, cosa che non impedisce loro di muoversi in un contesto, concertato con maestria tra verità storica e finzione, di figure realmente esistite e piuttosto accuratamente raffigurate.

PETTEGOLEZZI A VERSAILLES E MISERIA NEL PAESE

  

Anche grazie al fatto che l’opera di Zweig descrive questo aspetto con notevoli dettagli, risulta molto accurata, anche che se con esagerazioni nei dettagli, la ricostruzione delle dinamiche della Corte di Versailles, sfarzosa e pettegola, in cui si trova immersa la Delfina di Francia quando vi arriva, poco più meno che quindicenne, sposa per ragion di Stato all’erede al trono francese futuro Luigi XVI: le tensioni tra la favorita di Luigi XV madame Du Barry e le figlie del re, il cerimoniale che impone alla principessa di rivolgere la parola per prima, le difficoltà del matrimonio tra la principessa e il Delfino di Francia Luigi XVI che tarda sette anni a dare un erede son tutte cose ampiamente documentate, anche nel carteggio tra la principessa Maria Antonietta e la madre, l’imperatrice Maria Teresa, regnante di tutt’altra tempra politica, sul trono di Vienna. Vere e documentate le preoccupazioni della madre per questa figlia troppo frivola, incline a vestire con sfarzo, eccessivamente attratta dai divertimenti, incluso il gioco d’azzardo, e poco responsabile nei doveri, specie dal momento in cui si ritrova, diciottenne e impreparata, in una delicata posizione, certo più grande di lei e del suo consorte privo di physique du rôle: regina di una Francia in gravissima crisi economica e preda di diseguaglianze sociali sul punto di esplodere. Reale e delineata accuratamente, per quanto possibile, nel ruolo di consigliere trait-d’union con Vienna, anche la figura dell’ambasciatore austriaco alla Corte di Versailles il conte de Mercy-Argenteau.

Reale, e attendibile sul piano dell’influenza politica (inventato il dettaglio della figlia illegittima Rosalie, vero invece che ebbe una figlia, Aglaè, andata sposa dodicenne nel 1780 al Duca de Gramonte e de Guiche, nato nel 1755), la figura di Madame de Polignac (nella realtà duchessa non contessa), arrampicatrice sociale, intrigante, capace di attrarsi le simpatie della giovane regina e di ottenerne onerosi favori per sé e per la famiglia e un’influenza a Corte oltre l’opportuno. Ben delineato anche il contesto in cui maturano le maldicenze che finiranno per fare della regina la figura catalizzatrice del malcontento popolare, simbolo di una Corte percepita come carica di intrighi, dispendiosa e indifferente ai problemi di un Paese con le finanze in dissesto: hanno attendibilità storica il progressivo ritiro della regina al Piccolo Trianon e il malcontento dei sudditi che l’avvertono sempre più distante: i nobili perché ne percepiscono la scarsa attitudine ai doveri che la corte richiede e trascuratezza nel trattarli; il popolo perché ne fa il simbolo di una dissipazione che contrasta con la pressione fiscale e la fame in aumento per la carestia, che aggrava la crisi su cui ancora pesano gli effetti di spese militari anche risalenti nel tempo e su cui grava enormemente l’iniquità di un sistema fiscale che tiene intatti i privilegi di una nobiltà e di un clero che molto costano, rodono rendite e non producono, mentre preme esageratamente su una borghesia sempre più intraprendente, ma non riconosciuta politicamente, relegata com’è nel Terzo stato che raccoglie il resto della popolazione (oltre il 98%).


LO SCANDALO DELLA COLLANA, ROMANZESCO MA VERO


A proposito di intrighi sono molto accuratamente descritti nell’opera d’animazione l’affaire du collier, il cosiddetto scandalo della collana, e il relativo processo, con tutte le loro devastanti conseguenze politiche. Nell’episodio, una truffa colossale in cui la realtà supera ogni fantasia romanzesca, anche i dettagli sono precisi, salvo il fatto che la ragazza reclutata da Jean de la Motte, per farle impersonare la regina, da prostituta che era storicamente, diventa una povera cieca. Il fattaccio è un raggiro inverosimile architettato da Jean de La Motte e dal marito per derubare il cardinale di Rohan al fine di arricchirsi alle sue spalle illudendolo di comprare il favore della regina Maria Antonietta, presso cui è in disgrazia. Altra differenza il fatto che Jean e il marito, che non risulta abbiano tramato prima per uccidere la marchesa loro benefattrice, nella storia con la maiuscola non muoiono suicidi ma fuggono prima lui poi lei in Inghilterra da dove divulgano con maggior facilità libelli e memoriali con l’effetto di infangare ulteriormente agli occhi dei sudditi la credibilità di Maria Antonietta, del tutto estranea alla vicenda anzi parte lesa, e però uscita dal processo pubblico e dai memoriali con l’immagine devastata, accusata di sperpero di finanze pubbliche in costosissimi gioielli, di disinteresse alle sorti del popolo e di ogni possibile licenziosità, comprese relazioni extraconiugali anche saffiche. Jean anche nella realtà ha una sorella, ma non c’entra con il personaggio di Rosalie molto liberamente ispirato nell’anime alla ragazza del popolo che assiste Maria Antonietta prigioniera alla Conciergerie nelle ultime ore prima di finire ghigliottinata, di cui il personaggio animato conserva il nome vero: Rosalie Lamorlière.

MARIA ANTONIETTA E IL CONTE DI FERSEN, FU VERO AMORE?

  

Molti pettegolezzi sulle relazioni della regina hanno seguito nel malcontento dei contemporanei anche se privi di fondamento, vera è invece la relazione che lega la regina e il conte svedese Hans Axel Von Fersen. Uno studio tecnologicamente avanzato realizzato dagli studiosi degli Archives Nationales e noto dal 2020 ha fornito negli ultimi anni agli storici la possibilità di accedere anche alle parti del carteggio tra i due censurate dallo stesso Fersen –  pubblicato anche in Italia – , relative al periodo 1791-92 (si erano conosciuti nel 1774 e sono rimasti in contatto fino alla morte di lei) dando nuovi documenti agli studiosi sia sul rapporto tra i due sia sul piano di fuga fallito della regina imprigionata e poi ghigliottinata. Forse non bastano a dire l’ultima parola su quanto platonico o, invece, passionale (Zweig e di conseguenza l’anime propendono per la seconda ipotesi) fosse il loro rapporto, ma confermano l’esistenza di una relazione sentimentale tra Maria Antonietta e il sempre scapolo conte svedese, e una confidenza tra i due che lo stesso Fersen ha sentito il dovere di occultare. Possibile che sia questi nuovi dettagli, sia quelli contenuti nel carteggio di Maria Antonietta al conte Florimond Claude di Mercy-Argenteau, anch’esso ritrovato e pubblicato negli ultimi anni, possano chiarire ulteriormente la figura storica di una regina che i contemporanei hanno strumentalizzato non poco, prima facendone il capro espiatorio di ogni nefandezza durante la rivoluzione e poi trasformandola in una martire durante la restaurazione. Due letture troppo parziali per renderne la complessità, a fronte delle quali l’anime, seguendo le orme di Zweig sposa la tesi “comprensiva” di una giovane principessa sacrificata per ragion di Stato a un matrimonio e a un destino più grandi di lei, ai quali giungeva impreparata, senza per questo rinunciare a rimproverarle una leggerezza inadeguata al ruolo e l’incapacità di leggere l’evolversi degli eventi.


I RIVOLUZIONARI, CON LICENZA STORICA

Più schematico e per questo meno preciso il tratteggio dei rivoluzionari, inquadrati più da lontano: Robespierre e Saint-Just vengono irrigiditi a rappresentare rispettivamente un’ala riformista e una estremista dei protagonisti della rivoluzione: sono più simboli che individui storicamente ritratti in modo rigoroso. Anche perché con licenza letteraria vengono “anticipati”, tratteggiati prima dei fatti che li hanno visti definitivamente passare alla storia e degli atti che hanno compiuto dopo la presa della Bastiglia che è l’evento dal quale convenzionalmente si fa iniziare la rivoluzione e che di fatto conclude l’anime, con la morte di Oscar e André, cui nella finzione segue solo un breve epilogo  che descrive il destino dei sovrani ghigliottinati. Se è vero, infatti, che la storia romanzata si snoda tra il 1755 e il 1793, è vero che si compie di fatto integralmente tra il 1769 e il 14 luglio 1789, lasciando al resto brevi accenni in incipit e in coda. Nella finzione letteraria si attribuisce a Robespierre la veste di un giovane avvocato intraprendente ma più moderato di quanto si rivelerà nel prosieguo della storia reale anche se si cerca di rendere l’idea di una sua evoluzione da una linea più cauta a una più spinta in senso radicale; a Saint-Just si attribuisce la linea del giovane estremista, esasperandolo non poco, perché nella realtà se ne conoscono i discorsi incendiari ma non risulta che andasse in giro armato a tendere agguati ai nobili, cosa che invece nel romanzo animato gli si vede fare. Ma quella tendenza sanguinaria è funzionale a evocare la Storia grande: serve in qualche modo ad anticipare emblematicamente il suo ruolo nella degenerazione successiva del Terrore e anche a marcare la distanza con Oscar e André, protagonisti della serie animata, che sposano sì alla fine la causa rivoluzionaria, ma senza venir mai meno a principi democratici forse ante litteram: si salva così la loro dimensione tutta positiva, senza che debbano scontare moralmente le derive venute dopo di loro.

La schematizzazione che dal lato dei rivoluzionari tradisce un po’ i singoli personaggi storici realmente esistiti, avvantaggia la resa dell’insieme, consente infatti di comprendere alcuni aspetti significativi: il fatto che il fronte rivoluzionario non fosse un monolite ideologicamente compatto ma raccogliesse diverse istanze; il fatto che ci siano state fasi e una evoluzione in senso radicale destinata a maturare negli sviluppi del decennio 1789-1799; il fatto che la Rivoluzione francese e le vicende che la hanno preparata siano state un fenomeno complesso, che non si presta a una lettura manichea bianco/nero; torti/ragioni. A differenza di Robespierre e di Saint-Just non è esistito il terzo personaggio che nella serie rappresenza il contatto tra i protagonisti e i rivoluzionari esistiti: Bernard è frutto della fantasia, il Cavaliere nero è solo un omaggio letterario a un Robin Hood d’altro contesto, ma il fatto che questo impegnato arringatore di folle sia un giornalista potrebbe evocare Camile Desmoulins.

Molto dettagliati e precisi invece il percorso e la cronologia degli atti che portano dalla convocazione degli Stati Generali alla presa della Bastiglia, compresi i tentennamenti del sovrano e poi la sua prova di forza con la destituzione del ministro delle finanze Necker intenzionato a portare avanti le riforme che avrebbero limitato i privilegi fiscali dei nobili: eventi che hanno dato fuoco alle polveri. Temi politici e sociali sofisticati, non così scontati, osservati con sguardo adulto, in un prodotto destinato a un pubblico di preadolescenti in particolare ragazzine.

La finzione narrativa fa incontrare in due occasioni Oscar, protagonista dell’anime, con Robespierre: la prima volta, a distanza, nel 1774, quando lei, guardia del corpo dei sovrani, lo sente pronunciare un discorso di benvenuto al re, in occasione della visita di Luigi XVI al Collegio Louis le Grand.  L’anime colloca l’episodio a ridosso dell’incoronazione avvenuta il 10 maggio 1774. L’aneddoto, molto tramandato dalle biografie, verosimile ma non certo, risalirebbe, invece al 1775, anno in cui il futuro ideologo della Rivoluzione, diciassettenne, sarebbe stato scelto tra 500 studenti, per parlare davanti ai nuovi sovrani in visita alla scuola parigina che effettivamente frequentava e in cui si stava formando come avvocato.

Un altro espediente fa incontrare di nuovo casualmente qualche anno più tardi la protagonista dell’anime e Robespierre in una taverna di Arras, il dialogo è un pretesto per dare conto della situazione politica e del malcontento della popolazione: anche in questo episodio la città non è scelta a caso in quanto località in cui lo studente di legge, futuro rivoluzionario, è nato.

IL DUCA PHILIPPE D’ORLÉANS, SOPRANNOMINATO EGALITÉ

  

Molto presente nella storia romanzata, come figura controversa e dipinta in chiave del tutto negativa, Louis Philippe Joseph di Borbone, duca d’Orléans, nobile d’altissimo lignaggio, cugino del re e a Luigi XVI platealmente ostile, passato alla storia e alla rivoluzione con il soprannome di Philippe Egalité. Se ne coglie la doppiezza, si calcano, anche al di là delle prove storiche, i toni della determinazione alle mire al trono, si coglie il ruolo realmente avuto dalla sua residenza, il Palais-Royal, nell’ospitare giovani, ideologi, giornalisti futuri rivoluzionari (ma si tace, nel prodotto pensato per adolescenti, della prostituzione che pure vi si tollerava, zona franca da ogni controllo). La figura del duca, facoltosa, potente, legata alla massoneria, spregiudicata è davvero passata alla storia connotata dall’ambiguità. Gli stessi rivoluzionari finirono per non fidarsene mai compiutamente, neppure quando ne sposò formalmente la causa fino a votare con la parte più radicale del fronte rivoluzionario la condanna a morte di Luigi XVI. La sensazione è che nella versione animata, anche qui come per i rivoluzionari per semplificare ma rendere nel complesso lo spirito del tempo, il personaggio animato sommi in sé alcune caratteristiche psicologiche attribuite nella ricostruzione di Zweig all’altro rivale di Luigi XVI, suo fratello minore e nell’ombra aspirante al suo trono nonché futuro Luigi XVIII nella Restaurazione.


IL RUOLO DEI SOLDATI DELLA GUARDIA

Non è invece affatto una licenza poetica se non nel farvi agire da protagonista Oscar il ruolo avuto dalle Gardes Françaises – nei cui ranghi c’è davvero un colonnello D’Agoult, più rigidamente lealista di quello evocato nella storia animata -, negli eventi rivoluzionari, nel senso che davvero una parte dei soldati rifiuta di sedare con la forza i disordini, davvero, nella Parigi raggiunta da reggimenti anche esteri in soccorso alle truppe del Re di Francia impiegate nell’ordine pubblico, costringe a battere in ritirata un plotone dei Royal-Allemand guidati davvero dal principe di Lambesc. Realmente un gruppo di questi disertori delle Gardes Françaises viene imprigionato all’Abbazia e liberato sulla pressione del popolo francese e, nella storia vera, anche accolto e rifocillato con tutti gli onori al Palais-Royal. Realmente una cinquantina di soldati della guardia francese prende parte dal lato dei rivoluzionari alla presa della Bastiglia (ex fortezza, prigione ormai più simbolica che reale aveva solo 7 detenuti, ma era ritenuta un emblema del potere assoluto che si voleva rovesciare),  a guidarli ovviamente non l’eroina di carta Oscar Francois de Jarjayes ma Pierre Augustin-Hulin che contribuisce a trasformare un assalto caotico in un assedio organizzato. A lui la protagonista è stata ispirata per ammissione della stessa di Ikeda: sulle prime aveva immaginato Oscar maschio, ma poi ha ripiegato sulla ragazza cresciuta da soldato, perché, abituata ai manga per ragazze, si sentiva insicura nel tratto, non pronta ad affrontare nel disegno un coprotagonista maschile per Maria Antonietta. Una virata che è stata la fortuna dell’opera dato che Oscar si è imposta come protagonista proprio per la forza narrativa della sua complessità psicologica. A differenza di Oscar Hulin non muore durante l’assedio alla Bastiglia. La diserzione dei soldati della Guardia si spiega in parte con ragioni sociali: è un reggimento di bassa estrazione, che si sente rappresentato dal Terzo Stato e dalla sua causa. La cosa riguarda anche i sottufficiali, da quando l’editto di Ségur (1781) pretende non solo una famiglia nobile per accedere alle più alte cariche (ereditarie) ma addirittura 4/4 di nobiltà, ossia un’antica discendenza aristocratica, cosa che preclude all’alta borghesia di acquisire una nobiltà di spada.

Tra i dettagli interessanti il fatto che non sia casuale la scelta di ambientare un’aggressione a Oscar e André a bordo della carrozza con lo stemma nobiliare nel quartiere parigino di Saint-Antoine, perché proprio lì si sono verificate durante il periodo che ha preceduto la presa della Bastiglia le sommosse popolari più accese.

VIOLINO O PIANOFORTE? TRA DANZE E MUSICA NON TUTTO TORNA

  

Più prudentemente da appassionata musicista Ryoko Ikeda nel manga aveva scelto per Oscar François de Jarjayes l’hobby del violino; l’anime ha preferito un più scenografico pianoforte, a costo di porsi su una china storicamente borderline: il «Glavicembalo col piano e col forte», cioè in grado di dare gradazioni di suono, di qui il nome pianoforte, realizzato per la prima volta alla corte fiorentina di Ferdinando de’ Medici nel 1698 da Bartolomeo de Cristofori, non viene commercializzato fino alla prima decade del Settecento e si perfeziona progressivamente fino all’ultima decade del secolo. Non a caso quando suona la protagonista sceglie Bach e brani composti attorno 1720 per clavicembalo. Essendo il piano realizzato ancora in pochi costosissimi esemplari, benché noto alle corti europee, doveva essere in quegli anni ancora poco diffuso nelle case dei nobili francesi tanto più che il primo pianoforte prodotto in Francia risale al 1777. Sarebbe stato certo più realistico, ma forse troppo sofisticato, far sedere Oscar a un clavicembalo coesistito con il piano per tutto il XVIII secolo.

Riguardo al ballo, a far da sfondo alle danze di corte ricorre in più occasioni  il minuetto di Georg Muffat, Florilegium Secundum/Fasciculus 8-Indissolubilis Amicitia in E Major – 9 composto nel 1698. Sono le note sulle quali si vede danzare Oscar nelle uniche occasioni in cui si concede un ballo, con la regina prima per sottrarla allo scandalo ed evitarle una compromettente danza con l’amante in pubblico e poi nell’unica occasione in cui veste da donna, presa (anche lei!) dall’amore impossibile per il conte von Fersen: l’incongruenza sta nel fatto che le note del minuetto, danza effettivamente in uso alla corte di Versailles nella seconda metà del Settecento, sono interpretate come un valzer, ballo già noto certo a Vienna all’epoca, citato anche nel Werter di Göthe (1774), ma ritenuto un po’ scandaloso, in quanto ballo di coppia, un abbraccio un po’ distante ma pur sempre un abbraccio. In Francia l’istitutrice di Luigi Filippo ancora in piena Restaurazione lo giudicava inadatto alle fanciulle oneste.  L’incongruenza si deve forse alla complessità di rappresentare la danza di un minuetto e al fatto che il valzer è entrato poi nell’immaginario collettivo come il ballo per eccellenza e risultava certo più comprensibile a un pubblico del Novecento. Probabile che ci sia anche una “licenza” poetica, nel fatto che un ballo di coppia vero e proprio risultava di sicuro più funzionale a rappresentare gli intrecci amorosi che si stavano consumando. A propendere per l’esigenza artistica il fatto che la stessa musica fa da sfondo anche al ballo in maschera in cui Maria Antonietta e Fersen si incontrano per la prima volta, ma in quell’occasione, prima dell’incontro fatale, Maria Antonietta mascherata con uno sconosciuto cavaliere danza invece un più distante e filologicamente più corretto minuetto.
 


IL DOTTOR LASSONE è ESISTITO MA…

Alla Corte francese c’è stato davvero un medico di nome Joseph-Marie-François de Lassone, gli archivi dicono che ha constatato il decesso della moglie di Luigi XV e che ha sottoposto a variolizzazione, pratica antesignana dellla vaccinazione antivaiolosa, nel 1774 la famiglia reale, voluta dal re spaventato dopo la morte per vaiolo di Luigi XV (Luigi XVI non era solo un appassionato di meccanica e di caccia ma anche dotato per il tempo di una buona cultura scientifica). Lassone figura tra i fondatori Académie des sciences, professore della Faculté de médecine de Paris e la data della sua morte secondo alcune fonti risale al dicembre 1788 mentre altre lasciano un punto di domanda a rendere probabile ma non provato l’anno della morte. Questa finestra di incertezza colloca tra la licenza poetica e la verosimiglianza la possibilità di fargli diagnosticare la tisi a lady Oscar nell’anime a Stati generali già convocati (5 maggio 1789).

Al netto di questo dettaglio, la figura del medico reca di certo un più importante anacronismo nel momento in cui lo si vede con uno stetoscopio moderno: già il più antico a forma di tubo e poi di trombetta è stato inventato solo nel 1816, ma per quello moderno con il tubo di gomma che l’animazione mostra occorre aspettare la metà dell’Ottocento, 60 anni abbondanti oltre i fatti narrati. Se il metodo scientifico risale al Seicento di Galileo, se i lumi danno una spinta all’approccio scientifico in campo medico – si pensi appunto all’innesto del vaiolo e alle bacchettate ai no vax dell’epoca anche nella Lombardia di Parini e nella Milano del Caffè – , portando al Settecento significativi progressi, è vero che il dato di maggior realismo dei medici che compaiono nella serie animata sta il più delle volte nell’onestà intellettuale di ammettere la propria impotenza terapeutica.

E INTANTO IL 31 GENNAIO ESCE IN GIAPPONE IL NUOVO FILM D’ANIMAZIONE

  

Prodotto dallo Studio Mappa, il film è stato annunciato negli scorsi mesi e a 45 anni esatti dalla messa in onda della prima serie animata in Giappone, è arrivata la notizia dell’uscita nelle sale del nuovo film il 31 gennaio 2025 nelle sale nipponiche, per la regia di Ai Yoshimura, sceneggiato da Tomoko Konparu con il Character design di Mariko Oka, e la colonna sonora è firmata da Hiroyuki Sawano e Kohta Yamamoto, tutte figure di primo piano nell’animazione nipponica. Nulla si sa al momento della distribuzione nel resto del mondo.





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