Un patto per la pace. Controllare Hezbollah e concentrarsi sull'Iran
Non sarà un accordo come quello del 2006 che è stato ridotto a pezzi il giorno dopo firmato perché non c'era né sorveglianza né attori capaci di tenerlo in piedi. Oggi è diverso, specialmente è evidente la coscienza della fase nuova in cui lo si firma: dopo il 7 ottobre, la fine delle illusioni e con la consapevolezza che bisogna andare avanti. I termini erano simili allora, quelli della risoluzione 1.701: Hezbollah doveva, disarmato, ritirarsi oltre il Litani, l'Unifil sorvegliare con l'esercito libanese che Nasrallah non tornasse nel Sud del Libano. Un patto fallimentare, coi libanesi spaventati e, nell'esercito, spesso sciiti come gli Hezbollah; l'Unifil imbelle e perfino connivente con chi è contro Israele. Tzipi Livni, che aveva condotto in porto quell'accordo pagò col fallimento politico: la Taqiyya, la legittima menzogna in favore dell'islam, ricostruì sul confine le forze Radwan; il meccanismo di aggressione terroristica accumulò centinaia di migliaia di missili e droni e scavò di gallerie nascoste fin sotto le case in Galilea: dal 7 ottobre questo è diventato guerra di invasione a fianco di Hamas. Perché l'accordo è fallito? Mancò il meccanismo di controllo e di intervento.
Adesso Netanyahu mette piedi, con il supporto americano, un accordo che consente di sapere se Hezbollah prepara sorprese e di agire per tempo: Radwan dovrà restare lontano dal confine, sarà disarmato, non potrà ricostruire i villaggi fasulli pieni di armi e di gallerie. Se arriva un camion, si verificherà che non porti armi, per la prima volta. Israele cerca la pace fuori dalle illusioni che hanno portato al disastro del 7 ottobre.
È possibile? Si può tenere a bada gli Hezbollah? E perché lo si deve fare proprio adesso che Israele ha ridotto a pezzi la forza terroristica al servizio degli ayatollah avendo eliminato Nasrallah ei suoi ufficiali, compiuto operazioni da leggenda come quella dei beeper, distrutte in gran parte postazioni e riserve economiche e militari? Hezbollah ha come unica ragion d'essere l'attacco genocida a Israele e l'ubbidienza all'Iran. Ma Israele – come ha spiegato Netanyahu – vuole evitare che Biden, stizzito, lasci che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, sulle tracce di Obama nel 2016, lo condanni; vuole che le riserve che da più di un anno combattono vittoriosamente, ma vengono feriti e uccisi fra Gaza e il Nord riprendano fiato; vuole accelerare il rifornimento di armi americane; vuole che Hamas, ormai isolato definitivamente, si decide a trattare sui rapiti. Israele peraltro non si è mai posta l'obiettivo di cancellare Hezbollah, dovrebbe occupare il Libano. Lo stato ebraico sa che continuare a combattere gli Hezbollah toglie tempo e forze rispetto all'obiettivo essenziale, l'Iran, che prepara la bomba atomica mentre riassetta la sua strategia di accerchiamento fallito, ma non concluso. Il meccanismo dell'accordo costruisce la possibilità, su cui ha lavorato in profondità il ministro degli Affari Strategici Ron Dermer, di agire rapidamente su nuove importazioni di armi, su violazioni per ricostruire una forza d'attacco. Le vie di rifornimento dalla Siria, autostrada iraniana per Beirut, saranno chiuse; sul terreno Israele, gli americani, Centcom, qualche Paese arabo, creeranno anche una nuova prospettiva per Gaza. La Francia, che ha fatto sapere di essere intentata ad arrestare Netanyahu, non trova naturalmente la fiducia di Israele.
E quando la questione fra
due mesi sarà nelle mani della nuova amministrazione americana, si sarà capito ormai se il terrorismo di Hezbollah, figlio degli ayatollah, continua: nel qual caso, è logico aspettarsi un ampio «go» invece che un «non».