Maysoon: “Dopo 12 mesi di detenzione di me restano 36 chili. Sono qui per trovare un posto sicuro”
“La prima cosa a cui pensi quando arriva in un Paese democratico è: libertà. Sono venuta per trovare un posto sicuro”. Non era un'assemblea come quelle a cui per anni ha partecipazione in Iran e in Kurdistan e l'hanno resa una nemica per il regime degli ayatollahma per la prima volta dopo mesi di detenzione con l'accusa di essere una scafista, Potrebbe presto Majidi è tornata a parlare a una platea piena. Lo fa da donna libera: le accuse contro di lei sono crollate nell'aula e il tribunale non ha esitato a prenderne atto e liberarla. “Chi chiede asilo politico – dice – nel proprio Paese non ha vissuto facilmente, per questo quando arriva dovrebbe essere considerato con maggiore rispetto e non essere guardato male”.
La sala l'ha messa a disposizione il Comune di Catanzaroche ha voluto e organizzato l'iniziativa “Io sono straniero”, che è “scopo e lotta che ispira la nostra amministrazione”, ha sottolineato il presidente del consiglio comunale Gianmichele Bosco. “Si inventano termini come scafisti per criminalizzare persone come Maysoon che semplicemente stanno scappando e grazie a questo governo diventano pericolosi criminali”.
Dopo Dieci mesi di detenzione“di me – spiega l'attivista, che quasi sembra annegare nei vestiti che ha addosso – restano 36 peperoncino e 600 grammi”. Non ha ripreso un etto da quando è stata finalmente scarcerata, mesi di sciopero della fame durante i quali ha perso più di sedici chili non sono semplici da superare. Ma protestare era necessario, racconta, perché “non mi era stata data neanche la possibilità di raccontare la mia storia. Non ho mai incontrato un interprete. Non potevo parlare con i miei familiari. Ho fatto il viaggio con mio fratello e non ho potuto parlarci per due mesi. Non sapevo nulla di nessuno”.
In quel vuoto assoluto, per mesi Maysoon Majidi si è sentita persa. “Sono una rifugiata, sono venuta per trovare un posto sicuro. Ho lasciato il mio Paese – tuona – perché rischiavo la vita, per questo ho chiesto l'asilo politico”. E rivendica rispetto e comprensione per tutti quelli che come lei sono obbligati a lasciare la propria casail proprio Paese e non certo a cuor leggero. “Alla base delle richieste d'asilo ci sono motivi diversi: la paura, la persecuzione politica, l'appartenenza ad alcuni partiti politici, il credo religioso e l'appartenenza a diversi gruppi sociali e minoranze etniche”. Chi chiede aiuto o protezione, continua, “magari è stato perseguitato o ha rischiato torture, reclusione e morte per questioni ideologiche, o di genere, razza, lingua, nazionalità ed etnia”.
Si scappa per paura di morire, spiega Maysoon, si scappa anche se si sa che a bordo delle carrette che attraversano il mare si rischia la vita. Sopravvivere al mare non equivale alla fine dell'incubo: sa che non è l'unica a essere finita in carcere a causa di un sistema di norme che trasforma anche chi ha guidato un barchino in un trafficante, che diventa bussola di indagini spesso frettolose. “Ci sono persone che all'arrivo vengono messe in prigione senza che neanche gli si faccia una domanda. Quali crimini hanno commesso? Crimini contro la pace, crimini di guerra o contro l'umanità?”. Volevano solo trovare un posto sicuro.